Una voce fuori dal coro
di Sara Gorgerino
Agricoltore, sindaco, maestro di canto sacro, animatore parrocchiale: attività e ruoli che al giorno d’oggi, nella nostra società, sono ricoperti da persone diverse; non è questo il caso di Carlo Costa detto “Carlin”, che in una sola vita fece molto per il prossimo, e in molti campi differenti.
Agricoltore, sindaco, maestro di canto sacro, animatore parrocchiale: attività e ruoli che al giorno d’oggi, nella nostra società, sono ricoperti da persone diverse; per ognuno di essi bisogna avere un certo grado di preparazione, di studio, di conoscenza e di capacità. Non è questo il caso di Carlo Costa detto “Carlin”, che in una sola vita fece molto per il prossimo, e in molti campi differenti.
«Un uomo longilineo, dal portamento quasi severo, sempre concentrato, eppure capace di sciogliersi nel più cordiale sorriso e di mettere in condizione chiunque di essere ascoltato e di ascoltare», così viene ricordato pressochè unanimemente.
Nacque a Santo Stefano Roero il 29 Novembre 1892, al “Bric di Pe’ Carlin”, tra vigneti, boschi e rocche. Ultimo di sei figli, la sua infanzia e la giovinezza trascorsero faticosamente tra guerre, epidemie e la perdita della madre. Un vecchio sillabario e un libro di rozza geografia, valsi per arrivare fino alla III elementare, furono la base di una cultura che si ampliò molto lungo gli anni, tramite amicizie e una spinta interiore a conoscere: diventò così esperto nei conti, ma anche appassionato lettore della Divina Commedia di cui conosceva molti canti a memoria. Una cultura che andrà ben oltre, non nei titoli forse, ma nella capacità di leggere gli avvenimenti, di dedicarsi agli altri.
Quindi l’inizio di una grande passione: il lavoro della terra. Fu un agricoltore ambizioso, preparato e innovatore, che sotto l’esperta guida del professor Ferraris, insegnante di agraria originario di Cuneo, impiantò pescheti, frutteti di meli e peri, cercando di migliorarne le qualità attraverso sperimentazioni con innesti.
I nipoti ricordano: «Era una persona puntigliosa e metodica; ogni mattina, dopo la Messa, consumava una frugale colazione e andava subito al lavoro. Quando si trovava in una vigna lontana dal paese e non sentiva le campane, per sapere l’ora usava un canèt come ago di una rozza meridiana. A mezzogiorno tornava a casa, preparava il suo pranzo e, dopo un breve riposo, ritornava al lavoro fino al suono dell’Ave Maria».
Non sono mancate grosse difficoltà sul lavoro: il fallimento delle prime cooperative di vendita, annate disastrose per brinate primaverili o violente grandinate. Carlin lavorava ancora con più intensità per risollevare il morale dei contadini che, come lui, vivevano del lavoro della terra.
Nella quotidianità Carlin fu per la comunità sanstostefanese un punto di riferimento. Gli incontri casuali diventavano occasione per qualche parola, un sorriso, un incoraggiamento o l’invito ad avere pazienza; ma sovente la gente lo andava a cercare a casa sapendo di trovare la porta sempre aperta, un rifugio sicuro in cui parlare ed essere ascoltati. Spesso divenne mediatore in questioni che oggi possono sembrare futili, ma che a quel tempo erano tutto: il furto di una gallina o di una cesta di pesche, la disputa per un piccolo lembo di terra ormai privo di attenzioni. Altri, speranzosi di buone notizie, portavano a leggere le lettere dei propri cari emigrati in America. Saltuariamente si trovavano tutti intorno alla sua radio per ascoltare i notiziari regionali.
Si comprende perché la gente del paese nel 1945 lo abbia eletto sindaco e lo abbia rieletto nel 1951: furono gli anni della ricostruzione, gli edifici erano in cattive condizioni, c’era povertà e chi poteva scappava verso la città (Torino); il paese era diviso – e non solo geograficamente – in molte frazioni e borgate.
In lui la popolazione ha riconosciuto un rigoroso amministratore della ricostruzione e, soprattutto, un uomo capace di conciliare gli animi (caratteristica che non lo abbandonò mai nella vita). Carlin non negò mai la sua amicizia a chi non la pensava come lui e lavorò con grande senso della giustizia, dispiacendosi quando era impossibile poter accontentare tutti.
Proseguì il suo impegno politico come assessore e vicesindaco fino al 1964.
Ogni anno, a partire dal 1930, Carlin reclutava uomini e giovani per condurli agli Esercizi spirituali a Chieri (Casa della Pace), a San Mauro Torinese (Villa Santa Croce) e più di recente ad Altavilla. Riusciva ad attirare i giovani non con orazioni e tante parole, ma perché esprimeva attraverso lo sguardo e il sorriso una spiritualità intensa. Teneva molto a queste persone e a questa attività di sollievo per l’anima: a chi non poteva permetterselo, anticipava anche la retta.
«In quelle stagioni durissime – 1930 e seguenti – vedere un laico interessarsi al cammino della fede e al senso della vita dei propri compaesani, compagni di lavoro e fatica dei campi e delle vigne, era sicuramente un fatto raro» (da “Il Laicato Cattolico Albese del Novecento”, A. Stella, pag. 47).
La preghiera nella comunità si trasformò in canto. Fin dalla sua prima giovinezza iniziò la sua attività (già nel 1908 prese parte con altri di Santo Stefano a un concorso corale) di insegnante e direttore di coro. Voleva che chi cantava si esprimesse non solo con le labbra, ma con il cuore e nella fede. Il suo motivo dominante era: «Qui cantiamo perché crediamo, in cielo canteremo per la gioia di poter vedere». Con questo spirito Carlin visse l’attività di apprendimento musicale per organo e armonium (strumento simile all’organo, ma con estensione e timbro minori), cimentandosi parallelamente come direttore di coro. Andò a scuola d’organo dal professor Angelo Surbone, musicista torinese che tenne più di cinquecento concerti in Italia e all’estero, collaborando anche alle stagioni sinfoniche della RAI. Non imparò mai per sé: mise sempre subito a disposizione questa sua capacità – insieme a tutte le altre – per la comunità.
Don Gino Chiesa, suo pronipote, scrive: «I cantori di Santo Stefano più anziani ricordano l’impegno profuso da Carlin nell’insegnare canto gregoriano, canti polifonici, le Messe di Lorenzo Perosi… con rara competenza e gusto. Prove su prove, quasi senza respiro, anche due o tre volte la settimana nel periodo invernale. L’afflato per tradurre e spiegare i canti in latino, parola per parola: cercava sempre la comprensione profonda dei testi e dei suoi contenuti. Con più pazienza ancora che per le prove, dedicava attenzione per reclutare nuove voci, per entusiasmare i giovani, o per “recuperare qualche stanco”. Con altrettanta pazienza preparava le partiture, trascrivendo le note a mano o con una rudimentale macchina per duplicatore».
Svolse la sua attività prima nella parrocchia di Santo Stefano, poi contemporaneamente a Monteu Roero e nella frazione di Madonna delle Grazie. Il 12 novembre 1932 inizia a Monteu Roero la scuola di canto. Dopo una lunga giornata di lavoro, nei periodi invernali, da casa sua saliva a Santo Stefano, a piedi imboccava i sentieri della “Trivina” e, tra i boschi, raggiungeva Monteu. Faceva scuola di canto e, ancora nella nottata, ritornava per la stessa strada a casa, sia con tempo bello, sia con la neve, la pioggia o il ghiaccio… Raccontò che una notte, ritornando, d’inverno, al tempo della lotta della Liberazione, incontrò un uomo con un sacco di refurtiva. Nell’oscurità si salutarono; Carlin riconobbe quell’uomo, ma portò con sé il segreto di quell’identità. Solo più tardi, e soltanto qualche volta, accettò di fermarsi a dormire, per ritornare il mattino dopo. Nonostante questo lungo cammino era sempre puntualissimo: qualche volta non lo erano gli stessi cantori! Unanimemente affermano non solo di aver imparato a cantare, ma di aver sentito anche autentiche istruzioni religiose; soprattutto, di aver trovato un grande amico. La sua austerità si scioglieva nel raccontare aneddoti e offriva il suo miglior “Nebiolo” (all’epoca con una “b” sola, ma non meno pregiato!).
Completamente disinteressato e gratuito nei suoi servizi, accettava di cuore la visita che i cantori, con affetto, gli facevano il giorno del suo onomastico. Dovette però affrontare un grande cambiamento: la riforma liturgica avviata dal Concilio Vaticano II. Quando uscirono i documenti, li lesse tutti con molto interesse e ponendosi qualche domanda.
L’abolizione della messa in latino costrinse le corali ad abbandonare tutto il repertorio classico per imparare a cantare in italiano. Carlin, dopo aver arricciato il naso e scosso un po’ il capo, si rimboccò le maniche e con impegno straordinario arrangiò e recuperò il possibile. Volse in italiano, per esempio, il maestoso “Cantate Domino” per due cori di V. Terreno, che ancora oggi si canta nelle grandi solennità.
Il 2 aprile 1978 si recò, a nome della cantoria di Santo Stefano Roero, presso il Duomo di Alba per ritirare il Diploma di partecipazione al Convegno Diocesano delle Cantorie e Assemblee Parrocchiali: era il più vecchio cantore della Diocesi, con i suoi quasi 86 anni, e anche se avrebbe voluto passare inosservato, ricevette un lunghissimo applauso di ringraziamento e di ammirazione per aver dedicato la sua vita al canto.
Stimato e apprezzato dal Vescovo e da Monsignor Gianolio, fu proposto all’attenzione della Santa Sede per un piccolo segno di riconoscimento.
Dal bollettino parrocchiale del 1950 ricaviamo: «Non è più una novità per i santostefanesi residenti in parrocchia e neanche sarà una sorpresa apprendere la comunicazione dell’insigne onorificenza conferita da Sua Santità Papa Pio XII al nostro concittadino Carlo Costa, da parecchi anni sindaco di Santo Stefano Roero e braccio destro della parrocchia. Se egli non amasse il silenzio e la cosa non gli facesse più dispiacere che piacere, sarebbe il caso di stendere una bella pagina anche solo per rendere omaggio alla verità, ma basta così: tanto tutti sanno e sarebbero parole inutili. S’informano tuttavia i lontani, che ancora non fossero informati della cosa, che, con decreto della Santa Sede, il 5 gennaio il nostro Carlin era insignito della Commenda dell’Ordine di San Silvestro Papa, tornando, tale atto pontificio, a decoro anche della Parrocchia. A lui le nostre più cordiali felicitazioni».
In seguito a complicazioni polmonari, Carlin morì il 23 luglio 1978.
Fu una grande perdita per il paese ma il suo ricordo, i suoi insegnamenti nel canto, nella preghiera e nel lavoro, sono uno stimolo a impegnarsi con la stessa intensità con cui Carlin visse la sua lunga vita: «Tutto a tempo e niente più del necessario».
QUESTO ARTICOLO E’ APPARSO SUL N. UNO di “Roero Terra Ritrovata”
PUOI SFOGLIARLO ONLINE QUI.