Nuto Revelli nel ricordo di Mario Rigoni Stern
a cura di Fabio Bailo
A un anno dalla morte quale è il suo ricordo di Nuto Revelli?
Mi ricordo perfettamente di quando, forse trent’anni fa, sono stato con lui, sulle sue montagne, quelle montagne dove aveva fatto il partigiano. Non ero mai stato a Cuneo e non conoscevo quel territorio, venne l’occasione e lo raggiunsi prima nelle Langhe, poi a Boves dove mi parlò della strage del 22 settembre 1943 e del maggiore Peiper e infine, insieme, risalimmo la Valle Grana. Nuto allora era impegnato nella preparazione di La strada del davai, un libro grande e tremendo, che lui “costruiva” attraverso le testimonianze dei soldati della Cuneense sopravvissuti alla ritirata di Russia. Per raggiungere quegli uomini, gli uomini delle sue montagne e delle sue vallate, Nuto saliva fino a paesi sperduti e abbandonati. Ancora oggi ricordo la sua fatica e sofferenza nel rivivere la tragedia di quegli uomini gettati allo sbaraglio, beffati e traditi. Non si può dimenticare la morte di migliaia di uomini in mezzo alla neve, con la speranza fino all’ultimo di salvarsi.
Quando lo conobbe?
Si può dire che lo abbia conosciuto, sia pur indirettamente, fin dai tempi della campagna di Russia. Fin da allora noi alpini sapevamo di questo cuneese del Tirano, il battaglione del quinto Alpini, di questo tenente che era sulla linea di fianco a noi, sapevamo che era duro e testardo ma anche generoso con i suoi soldati. Probabilmente è stato l’unico che durante la ritirata ha voluto e saputo prendere appunti rivelatisi fondamentali per quello che sarebbe stato il suo libro più sentito, La guerra dei poveri.
È corretto dire che Revelli è stato il testimone di due tragedie diverse ma fondamentali per la storia di questo Paese, la ritirata di Russia e l’abbandono della montagna?
Sì. Se la prima rivive nella Guerra dei poveri e nella Strada del davai, la seconda è condensata nel Mondo dei vinti, una tragedia del nostro dopoguerra, una tragedia per alcuni aspetti ancora oggi sottovalutata. Le montagne di cui scriveva Nuto, le montagne e le vallate cuneesi erano state particolarmente sfortunate, spopolate prima da una guerra che aveva falcidiato un’intera generazione e poi da una massiccia emigrazione verso la pianura. Si recava, e quella volta anch’io con lui, in villaggi ormai quasi abbandonati dove parlava con i pochi che tenacemente erano rimasti e con loro divideva la polenta e il formaggio. Il risultato dell’emigrazione fu che molti paesi si svuotarono tanto che i topi e le volpi, divenuti unici abitanti di quei villaggi e di quelle comunità, entravano liberamente nelle case.
QUESTO ARTICOLO E’ APPARSO SUL N. ZERO di “Roero Terra Ritrovata”
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